Lucca – Roma

Estate 2005  –  Verso  Roma  

 19 Maggio – Oggi, con il mio compagno di viaggio Francesco, è in programma la tappa Fucecchio – Siena.  A P. Angelo è venuta la mania della bicicletta, appena trova una persona disponibile, parte; questo percorso l’ha fatto il  7 maggio, impossibile per me, era il giorno del matrimonio di mia figlia.

Mettiamo le bici sulla macchina e le scarichiamo quando arriviamo a Bassa, un paesino a 5/6 km da Fucecchio.

Verso le dieci siamo a Certaldo, facciamo una sosta con relativa visita alla rocca e colazione in un bar davanti alla casa di Boccaccio e riprendiamo a pedalare.

Percorriamo diversi chilometri velocemente, lungo la strada 429 non ci sono  salite e c’è poco traffico. Arriviamo a Poggibonsi in pochissimo tempo, decidiamo di fare una deviazione per San Gimignano, la città dalle settantadue torri, oggi ne sono rimaste quindici.

Non è stata una scelta felice, a San Gimignano ero stato altre volte ma sempre in macchina e non mi ricordavo che per arrivare al paese c’era una bella salita. Arriviamo sudatissimi alla Porta di San Giovanni, è una giornata caldissima, il sole sembra quello di luglio. La fatica però è ricompensata dalla bellezza della cittadina, Piazza della Cisterna è veramente un gioiello, dominata dalla Torre Grossa, del 1311, con i suoi 54 metri di altezza. San Gimignano è conosciuta in tutto il mondo e per l’architettura medioevale del suo centro storico è stata dichiarata Patrimonio dell’UNESCO.    

Il  Duomo è molto bello, costruito su tre navate, ha le pareti completamente affrescate da artisti  di Scuola senese e fiorentina. Peccato che per entrare in chiesa a dire una preghiera si debba pagare tre euro e cinquanta. L’amarezza sparisce facendo uno spuntino in Piazza della Cisterna con due bicchieri di ottima Vernaccia.

Verso le quindici riprendiamo il viaggio, con calma facciamo la discesa ammirando lo splendido panorama; durante la salita non avevamo visto niente, eravamo troppo impegnati a spingere sui pedali. Da San Gimignano a Siena impieghiamo più tempo del previsto, la strada è tutto un saliscendi e solo verso le diciotto e trenta siamo a destinazione. Ci rimane giusto il tempo per prendere il treno che ci porta a Empoli.

Arrivati a Empoli, andiamo in bici a Bassa, recuperiamo la macchina e poi a casa. Abbiamo percorso 79 km.

 3 Giugno – Alle sei ho appuntamento con Francesco alla stazione di Montecatini, con la bici sul treno andremo a Siena, dove dovremmo arrivare  verso le nove e mezzo.

Barbara, P Angelo e Paola, un’altra “vera” ciclista, partiranno domani, noi vogliamo passare da Abbadia San Salvatore, a loro non interessa, ci troveremo a Viterbo, dove abbiamo già prenotato il pernottamento in un albergo.

Arrivati a Siena, facciamo un giro in Piazza del Campo, prendiamo il timbro in Cattedrale e partiamo.

I primi chilometri, fin dopo Bonconvento, li facciamo velocemente, è tutta pianura, una bella salita la troviamo prima di San Quirico d’Orcia. Ci fermiamo nel centro storico, in Piazza Duomo, in un’enoteca, questa è la patria del vino buono; insieme al panino non poteva mancare un calice di Brunello (9.00 €). Il Brunello è troppo buono, Francesco chiede il bis ed io pure. Dopo due bicchieri di quel vino si riparte allegri, anche perché è tutta discesa fino  a Bagno Vignoni, uno dei borghi medioevali meglio conservati in Toscana, con la sua vasca, in centro al paese, formata da una sorgente di acque termali.

Dopo Bagno Vignoni comincia la fatica: salita, solo salita. Sapevamo che oggi avremmo dovuto fare due o tre ore di trekking, spingendo la bici, ma non avevamo messo in conto che a  Castiglione d’Orcia ci aspettava il classico temporale estivo. Piove fortissimo, il satellitare dice che siamo a cinquecento metri di altezza e dobbiamo arrivare agli oltre ottocento metri di Abbadia; gettiamo la spugna e aspettiamo il primo autobus, dove carichiamo anche le bici, e dopo poco siamo a destinazione. Abbadia San Salvatore è un accogliente paesino sulle pendici dell’Amiata; non piove più e abbiamo il tempo per fare una piacevole passeggiata. E’ d’obbligo la visita alla famosa Abbazia. La prima chiesa fu fatta costruire nell’ottavo secolo dal re Longobardo Rachis e fatta gestire dai Benedettini. L’attuale chiesa è quella eretta nel 1036 su quella vecchia. Fin dall’inizio i monaci acquisirono potere monastico, economico e politico. Il potere e le grandi ricchezze accumulate nel tempo portarono i monaci alla loro dissolutezza morale e materiale, tanto che il Papa Gregorio IX, nel 1229, ordinò ai Benedettini di lasciare l’Abbazia e vi inserì i Cistercensi che rimasero fino alla soppressione della stessa, effettuata dal Granduca della Toscana nel 1782. L’evento storico che ha reso famosa l’Abbazia è la sosta che vi fece Carlo Magno nel viaggio a Roma per ricevere l’investitura imperiale dal Pontefice, ma la parte dell’attuale complesso che affascina è la vecchia cripta dell’ottocento, di grande valore monumentale; un capolavoro di architettura romanica.

Andiamo a cena in un’osteria caratteristica, nel passato la chiamavano “l’osteria dell’ultima cena”, qui si fermavano i minatori prima di andare a lavorare nella miniera di mercurio (chiusa nel 1982).

 Abbiamo percorso 56 km.

 4 Giugno – Partenza da Abbadia verso le otto, oggi i chilometri da percorrere sono molti, dobbiamo arrivare a Viterbo. Ieri pomeriggio, in salita, abbiamo sofferto, questa mattina siamo su una lunga e piacevole discesa, in mezzo a splendidi boschi di castagni e un paesaggio tutto da ammirare. Arrivati a Ponte sul Rigo riprendiamo la Cassia e verso le dieci siamo nella piazza centrale di Acquapendente. Facciamo di nuovo una bella colazione in un accogliente bar sotto i portici e decidiamo di prendere il timbro nella Basilica del Santo Sepolcro, una chiesa lungo la Cassia, verso Viterbo, appena fuori del paese.

La storia della basilica è legata a una certa regina Matilde che era diretta a Roma con un carro carico d’oro per costruire una chiesa. Gli animali arrivati in questo luogo, si rifiutarono di proseguire nonostante fossero “pungolati” da lunghi bastoni appuntiti usati dai contadini per spingere il bestiame, così Matilde decise di fermarsi e costruirla qui, sul luogo dove sorgeva un antico tempio.

La strategica posizione lungo la Via Francigena  rese la chiesa molto importante, tanto che attigua alla basilica, fu costruita un abbazia gestita dai Benedettini, dove trovavano rifugio e assistenza  pellegrini e  crociati. Oggi, della vecchia chiesa, di originale, rimane solo la cripta romanica che è l’elemento di maggiore interesse. Al centro della cripta sorge l’Edicola dedicata al Santo Sepolcro dove è custodita una pietra che si dice sia proveniente dal Pretorio di Ponzio Pilato e che sia stata  portata dai Crociati e macchiata del sangue di Cristo.

Entrati in chiesa Francesco incontra il parroco e gli chiede se possiamo avere il timbro sulla credenziale. In modo risoluto gli risponde che in quella chiesa non ha nessun timbro. Mi avvicino anch’io e in modo pacato apro la lunga credenziale e dico al parroco che ci spiacerebbe molto arrivare a Roma con tutti i timbri da Canterbury senza uno così importante come quello del Santo Sepolcro. Ci guarda non con amore, ci dice di aspettare, prende le nostre credenziali e in macchina va nella chiesa in centro ad Acquapendente, dove ha il timbro. Nell’attesa ammiriamo i “pungoli o pugnaloni”, sono dei grandi quadri di otto/dieci metri quadri, appoggiati alle pareti della navata, fatti con foglie e fiori incollati sul legno. Questi quadri sono portati in processione per la festa della Madonna del Fiore, la terza domenica di maggio, da otto secoli, per ricordare la cacciata di Barbarossa. Nonostante siano stati fatti da più di quindici giorni, sono ancora interessanti. Torna il parroco con le credenziali timbrate, ringraziamo e di nuovo in bici.

Piccola sosta a Bolsena, da ingenui non ci siamo informati sulla strada per Montefiascone, otto/nove chilometri di salita. Molta strada l’abbiamo percorsa a piedi, arriviamo a Montefiascone verso le quindici, stanchi e affamati. Il pranzo è a base di prosciutto e formaggio con due bicchieri di Est-Est-Est, un vino tipico della zona. La fatica è finita, con una lunga discesa arriviamo a Viterbo. Borse in albergo e visita al Palazzo dei Papi. Quando rientriamo, ci troviamo P. Angelo, Barbara e Paola che sono appena arrivati.

Abbiamo percorso 75 km.

5 Giugno – Partenza verso le nove. Poco dopo mi fermo da un meccanico, ho dei problemi a un freno. Con me si ferma Francesco; P. Angelo, Paola e Barbara continuano, l’appuntamento è a Sutri, dove vogliono andare alla messa.  Il guaio al freno è di poco conto e in breve anche noi siamo a Sutri, dove troviamo i nostri amici seduti, per un caffè, in un bar nella piazza centrale.

Quando arriviamo in chiesa, la messa è già iniziata: è la domenica delle cresime. Finita la funzione, ci avviciniamo al Vescovo e fra un discorso e l’altro scopriamo che è molto amico del parroco di Montecatini e del Vescovo di Pescia; con piacere ci mette i timbri sulle credenziali firmandoli.

 Appena  fuori  del  paese,  lungo la Via Cassia, ci fermiamo all’anfiteatro per le foto di rito. Dopo pochi chilometri,  vediamo un ristorante caratteristico: il luogo giusto  per un lauto spuntino con del buon vino bianco. Il posto è panoramico e accogliente, ai bordi del Lago di Vico; la sosta si prolunga con qualche bicchiere di vino di troppo e tante chiacchiere. Finalmente ci ricordiamo che questa sera dobbiamo arrivare a Roma e ripartiamo.

Il vino ci ha dato energia, andiamo veloci, anche perché con Barbara e Paola o pedaliamo velocemente o ci abbandonano. Le difficoltà iniziano quando la Cassia diventa superstrada. Le macchine ci sfiorano a cento trenta chilometri l’ora, è pericolosissimo, mi rifiuto di continuare, voglio uscire da questa strada. Francesco e P. Angelo mugugnano, vorrebbero continuare qui, ma vista la mia determinazione usciamo tutti: a Roma, se non ci arriviamo oggi, ci arriveremo domani.  Siamo in mezzo alla campagna romana, chiediamo quale sia il percorso più idoneo per Roma,  tutti ci dicono qualcosa di diverso, siamo disorientati. Alla fine seguiamo il consiglio di un signore che ci sembra il più affidabile: passare da Anguillara. La segnaletica sulle stradine di campagna lascia a desiderare, dopo poco ci accorgiamo di aver sbagliato, vaghiamo da una collina all’altra, sotto un bel sole, passiamo da Campagnano, da Sacrofano e per caso ci ritroviamo sulla Via Flaminia. Anche su questa strada c’è un bel traffico, è domenica ed è già iniziato il rientro serale; tuttavia decidiamo di proseguire sulla Via Flaminia e dopo pochi chilometri siamo alla Prima Porta.

Questa notte ci ospita il fratello di P. Angelo. Dobbiamo attraversare buona parte della città, è quasi buio, il traffico è caotico, andarci in bici è una pazzia.

La Prima Porta è il capolinea di un tratto di metropolitana in superficie; fra i brontolii del capotreno mettiamo le bici sul trenino e poco dopo arriviamo in Piazza del Popolo, dove troviamo il fratello di P. Angelo ad aspettarci. Ci fa strada fino a casa sua, vicinissima a  San Giovanni in Laterano. L’ospitalità è squisita, con relativa cena in un ristorante a cinque stelle.

Abbiamo percorso 82 km.

 

6 Giugno – La partenza è verso le otto e trenta, tutti insieme andiamo a visitare la vicina Cattedrale di San Giovanni in Laterano. Usciti, i miei amici decidono di andare in San Pietro con l’autobus,  io voglio arrivarci in bicicletta. Mi avvio in mezzo ad un traffico infernale, spesso utilizzo i marciapiedi, costeggio le Terme di Caracalla, il Circo Massimo, faccio il Lungotevere e arrivo in Piazza San Pietro.

 Mentre sto facendo un giro in piazza, contento di esserci arrivato con la vecchia Bianchi, tre guardie mi bloccano e con fare minaccioso mi chiedono i documenti. Hanno tutte le ragioni di essere sospettosi di uno che gira in piazza San Pietro con due borsoni appesi alla bici. Intravedo anche i miei amici, appena arrivati, ma se ne guardano bene ad avvicinarsi per togliermi da una situazione piuttosto imbarazzante, pensano solo a ridere a  crepapelle. Tutto si risolve in pochissimo tempo, anziché prendere la carta d’identità, tiro fuori la lunga credenziale con tutti i timbri che certificano che sono un pellegrino che arriva da Canterbury; ritorna il sorriso a tutti e la conversazione diventa piacevole. Ho avuto l’impressione che se avessi chiesto di essere accompagnato in San Pietro con la bici lo avrebbero fatto. Solo adesso i miei amici si avvicinano e si qualificano.

E’ superfluo parlare di San Pietro, tutti la conosciamo; è una chiesa maestosa, è il simbolo della cristianità. Prendere  il timbro sulla credenziale in San Pietro è emozionante.

Verso mezzogiorno decidiamo di andare verso la stazione Termini per il rientro a casa. I miei amici devono passare a recuperare le bici che hanno lasciato nel cortile della casa del fratello di P. Angelo, l’appuntamento è in Piazza della Stazione.

Dopo circa venti minuti, Barbara mi chiama sul cellulare e m’informa che a P. Angelo, in autobus,  gli hanno rubato il portafoglio e che stanno andando al Commissariato di Piazza Venezia per la relativa denuncia. Cambio percorso e li raggiungo. P. Angelo è dentro il Commissariato per le pratiche di rito, Francesco, Barbara e Paola sono seduti al bar; la bevuta ci va di traverso, facce lunghe e sconsolate, nel portafoglio non c’era molta moneta ma documenti importanti sì.

Dopo poco vado da P. Angelo per informarmi a che punto è la denuncia e mi dice che c’è un altro guaio: la chiave del lucchetto della catena con la quale aveva legato la bici era nel portafoglio. Il pensiero che P. Angelo sarebbe dovuto andare in stazione con la bici sulle spalle era veramente esilarante e quando l’ho raccontato agli altri, è venuto spontaneo cominciare a ridere così tanto, che non la finivamo più, ci voleva, abbiamo sdrammatizzato l’accaduto. Anche sul treno abbiamo continuato a sghignazzare, compreso P. Angelo. Alla ventidue siamo a casa. 

In circa dieci giorni l’anno, in quattro anni, ho percorso 1492 chilometri in bici e circa 247 a piedi cercando di seguire l'itinerario di Sigerico sulla Via Francigena. Questo percorso si può fare anche in pochi giorni in macchina, ma il mondo non si scopre correndo. 

A consuntivo è stata un’esperienza molto interessante; peccato che “l’avventura” sia finita.

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